Viaggio nel Pollino:
la carovana è la mia mente, la strada sono le cose che amo, la meta è la mia terra e il viaggio è la mia vita

giovedì 25 marzo 2010

PROMESSE ELETTORALI: E' TESTA A TESTA A CHI LA SPARA PIU' GROSSA

Articolo di ANTONIO PELOSI, candidato a consigliere regionale della Basilicata nella lista IDEA, pubblicato sulla "NUOVA DEL SUD" del 22 marzo 2010 pag.6

"Pensavo (mi sbagliavo di grosso) che il tempo delle promesse era alle spalle; riscopro invece (è ancora la logica delle campagne elettorali) che da ogni lato ci si affanna a candidare la vincente: sarà quella dei mille tirocini formativi nella P.A. sotto la diretta gestione dell'assessorato alla formazione, sarà quella della dichiarata apertura dell'ufficio di collocamento virtuale (Io Sud) o quella ancora del bonus dei 200€ sulla benzina (Scajola) a titolo di risarcimento per i danni provocati dall'estrazione petrolifera.
Da tutte le parti (destra, sinistra, centro) si levano polveroni di chiacchiere (si chatta per stare nel linguaggio dell'informazione tecnologica) ancora nel segno della falsità, delle frottole, delle illusioni.
Bene si farebbe s stare con i piedi per terra vuoi per ridare fiducia ai cittadini, vuoi per meglio rappresentare le istituzioni le quali devono essere impegnate a preseguire con tenacia obiettivi legati ALLA TUTELA DELLE ACQUE DA NON PRIVATIZZARE, ALLE CENTRALI ELETTRICHE DA NON FAR CONVIVERE NEI PARCHI NAZIONALI E TERRITORIALI (CENTRALE DEL MERCURE) ALLA MERITOCRAZIA (NELLEE P.A. SI ACCEDE CON PUBBLICO CONCORSO) ALLA RICCHEZZA DISTRIBUITA (RIMODULAZIONE DELLE ROYALTIES oggi stabilizzate al 7% con caro benzina in Basilicata di almeno tre punti percentuali in più rispetto alle limitrofe regioni) alla tutela dell'ambiente, della sanità, dell'agricoltura, del commercio, del turismo..................
Forse dovremmo partire da qui!


mercoledì 17 marzo 2010

C'era una volta la città dei matti: la lotta per la libertà di Franco Basaglia


Qualche settimana fa sono stato stupito dalla televisione vedendo la fiction “C'era una volta la città dei matti”. Infatti considerato che di norma, operando esclusivamente secondo la logica dell’audience, propone solo squallidi format che fanno leva sulle miserie della nostra società e su illusori modelli che sembrerebbero essere in grado di superarle, ed essendo, tra l’altro, diventata strumento di regime, mi ha colpito che, con questa ed altre mini serie, la Rai si sia dedicata a temi di profonda valenza storico-sociale e di grande spessore etico-esistenziale.

La fiction “C'era una volta la città dei matti” è dedicata alla rivoluzione condotta da Franco Basaglia, padre della legge che nel 1978 portò alla chiusura dei manicomi e che cambiò il modo di intendere e curare le malattie mentali. Una svolta importante che fece dei “matti”, ritenuti irrecuperabili pericolosi da internare e sottrarre alla vista della società “normale”, dei pazienti, dei malati cui restituire dignità, identità, anima e quelle libertà individuali che erano state loro tolte e negate iniquamente. La cosa più importante era il profilarsi di un possibile reinserimento, ritorno, alla vita di relazione, seppur lungo, faticoso e non privo di contraddizioni sociali. Il contesto era quello dell’Italia degli anni 70, che dopo il faticoso dopoguerra, era travolta ed irretita dal boom economico e che non si poteva permettere rallentamenti nella corsa verso la crescita, dove i malati mentali oltre ad essere considerati degli inutili pesi, inadatti, inadeguati, risultavano essere improduttivi, non conformati alle leggi capitalistiche. Pertanto venivano reclusi in un mondo fatto di degrado, abbandono e solitudine, dove le uniche cure erano sedativi, “bagni calmanti”, gabbie, elettroshock, letti con le cinghie che unitamente alla detenzione forzata contribuivano a perpetuare lo stigma della loro alienazione. Tutto ciò nell’indifferenza, non curanza dei familiari e del mondo esterno, sociale e psichiatrico. Nulla si faceva per ascoltarli, dargli voce e quindi guarirli. Inoltre i manicomi fungevano da contenitori indifferenziali, in cui venivano raccolte ed ammassate forzatamente le più svariate tipologie di interdetti dalla società, dagli schizofrenici, ai depressi, dagli autistici agli epilettici, persino gli eccentrici, fino ai reduci della guerra che continuavano a vivere le inguaribili ferite dell’assurda, insensata, inaudita violenza nazi-fascista. Dinanzi a tanta sofferenza cominciò la lotta di Basaglia contro i “lager della mente”, al fine di riscattare e restituire dignità ai suoi pazienti, riconoscendoli innanzitutto come persone titolari di diritti civili. Ma non basta avanzare un diritto per affermarlo e così cominciò la battaglia, che portò alla legge 180/78, contro gli interessi forti della società italiana di psichiatria, l’opposizione dell’ambiente politico soprattutto cattolico e dei sindacati, l’insensibilità delle famiglie e della società civile. Fu ed è difficile affermare idee basate sull’amore per la diversità, ma le sbarre divelte del manicomio triestino di San Giovanni smisero di essere un simbolo e divennero una rivoluzione legale basata su un concetto che ancora oggi è scritto sul muro esterno del San Giovanni, un tempo barriera inviolabile: “la libertà è terapeutica”. Ma anche oggi è fin troppo evidente che dobbiamo ancora imparare ad aiutare attraverso l’amore chi ne ha bisogno, nella consapevolezza che il contatto con la diversità non può che arricchire tutti e magari rendere migliori coloro che si considerano “sani” e “normali” e che, in realtà, troppo spesso sono essi stessi ad essere inabili, perché non sanno dare e non sanno prendere.