A mio parere le vicende del film si avvicinano molto al modo di raccontare e alle opere di Opzetek (come ad es. Mine Vaganti), in cui tutte le costruzioni sociali ironicamente vengono fatte a pezzi, in una specie di esplosione-implosione, crollano false certezze e apparenze, e vengono a galla le contraddizioni della realtà, ma soprattutto la verità ed è allora che si può iniziare a vivere per davvero, senza più maschere. Il finale è solo apparentemente lieto e per nulla scontato, poiché mostra come in realtà siano duri a morire i pregiudizi all’interno della società. Infatti, nonostante sembrasse ripristinata l’armonia tra i vari personaggi, uniti dal progetto dell’hotel, all’inaugurazione della splendida struttura, occasione in cui viene celebrato dall’ex prete, il matrimonio lesbo, tutti gli ospiti, intervenuti all’evento, sdegnati si alzano e vanno via. Molto intenso e forte il sermone che nulla può dinnanzi all’ottusaggine bigotta della gente (“…Per tutto il tempo in cui il vostro amore sarà sincero, vi dichiaro unite come persona a persona). Poco male, mediante un difficile percorso di crescita e di rinascita, la piccola impresa è riuscita comunque, e poi ad ogni traguardo raggiunto non bisogna dimenticare che occorre continuare a lottare.
venerdì 13 dicembre 2013
Una Piccola Impresa Meridionale
Il
film, diretto da Rocco Papaleo e ispirato al romanzo omonimo, ruota
attorno alle vicende di un ex prete, Don Costantino, interpretato
proprio da Papaleo, confinato da sua madre al vecchio faro di
famiglia, affinché non si sappia il motivo della sua svestizione: si
era innamorato, spretato, ma poi è stato mollato (con la frase
“Amavo il prete che era in te, non l’uomo!”). La madre, che
già doveva affrontare la vergogna della figlia (Claudia Potenza) che ha tradito il
marito ed è scappata con un misterioso amante, addolorata si
crogiola su cosa potrà dire ora la gente del paese!
La
storia, ambientata in un ipotetico Sud dell’Italia (anche se le
scene sono state girate interamente in Sardegna, con un paesaggio da
sfondo incantevole), in maniera semplice, sarcastica, scanzonata e
diretta, ci pone davanti ad alcuni dei principali nei della società
contemporanea: i pregiudizi, il pettegolezzo, le apparenze da
mantenere, la chiusura verso il diverso. Il
vecchio faro in disuso dovrebbe garantire a Costantino l’isolamento
ed invece attira l’attenzione di tutti, soprattutto delle persone
più reiette: dall’ex prostituta, Magnolia (sorella della colf, che
poi è l’amante misteriosa e ancor più grave lesbica), al cognato
abbandonato, Arturo (uno Scamarcio preso in giro dai ragazzini,
proprio in quanto cornuto), fino alla stravagante ditta di
ristrutturazioni (la ”Meridionale Ristrutturazioni S.r.l.s”, che
quando Rocco chiederà al titolare cosa significa, quello gli
risponderà: “Società a responsabilità limitatissima”!),
chiamata per riparare il tetto del faro (“Piove in cinque parti, un
tempo dispari…” “E’ grave?” “E’ jazz!”). Infine
giungeranno anche la sorella dell’ex prete con l’amante e la
madre, che a quel punto scoprirà che la figlia è lesbica. Dopo un
primo momento di rabbia, indignazione e disperazione, tutti insieme i
protagonisti, saranno “costretti” ad accettare la presenza
ciascuno dell’altro e saranno chiamati a dare il meglio di sé, al
di là di ogni preconcetto, nella ricostruzione del loro futuro,
legato proprio al faro, che grazie alla ditta diventerà un
bellissimo hotel. Da notare la sorta di accoppiata di “ex” (ex
prete, ex prostituta, ex coniugi), come se i vari personaggi fossero
in cerca di nuova collocazione, nella propria vita e nella società,
per rinascere animati da maggiore passione ed entusiasmo, riscoprendo
così, attraverso il cambiamento, il valore autentico dell’esistenza.
Altro elemento importante e di unione è la musica, mai casuale e
sempre presente nelle diverse espressioni d’arte di Papaleo ( da
cabarettista, ad attore, scrittore e da Basilicata Coast to coast a
Piccola impresa meridionale), tanto che si potrebbe parlare di
narrazione musicale.
A mio parere le vicende del film si avvicinano molto al modo di raccontare e alle opere di Opzetek (come ad es. Mine Vaganti), in cui tutte le costruzioni sociali ironicamente vengono fatte a pezzi, in una specie di esplosione-implosione, crollano false certezze e apparenze, e vengono a galla le contraddizioni della realtà, ma soprattutto la verità ed è allora che si può iniziare a vivere per davvero, senza più maschere. Il finale è solo apparentemente lieto e per nulla scontato, poiché mostra come in realtà siano duri a morire i pregiudizi all’interno della società. Infatti, nonostante sembrasse ripristinata l’armonia tra i vari personaggi, uniti dal progetto dell’hotel, all’inaugurazione della splendida struttura, occasione in cui viene celebrato dall’ex prete, il matrimonio lesbo, tutti gli ospiti, intervenuti all’evento, sdegnati si alzano e vanno via. Molto intenso e forte il sermone che nulla può dinnanzi all’ottusaggine bigotta della gente (“…Per tutto il tempo in cui il vostro amore sarà sincero, vi dichiaro unite come persona a persona). Poco male, mediante un difficile percorso di crescita e di rinascita, la piccola impresa è riuscita comunque, e poi ad ogni traguardo raggiunto non bisogna dimenticare che occorre continuare a lottare.
A mio parere le vicende del film si avvicinano molto al modo di raccontare e alle opere di Opzetek (come ad es. Mine Vaganti), in cui tutte le costruzioni sociali ironicamente vengono fatte a pezzi, in una specie di esplosione-implosione, crollano false certezze e apparenze, e vengono a galla le contraddizioni della realtà, ma soprattutto la verità ed è allora che si può iniziare a vivere per davvero, senza più maschere. Il finale è solo apparentemente lieto e per nulla scontato, poiché mostra come in realtà siano duri a morire i pregiudizi all’interno della società. Infatti, nonostante sembrasse ripristinata l’armonia tra i vari personaggi, uniti dal progetto dell’hotel, all’inaugurazione della splendida struttura, occasione in cui viene celebrato dall’ex prete, il matrimonio lesbo, tutti gli ospiti, intervenuti all’evento, sdegnati si alzano e vanno via. Molto intenso e forte il sermone che nulla può dinnanzi all’ottusaggine bigotta della gente (“…Per tutto il tempo in cui il vostro amore sarà sincero, vi dichiaro unite come persona a persona). Poco male, mediante un difficile percorso di crescita e di rinascita, la piccola impresa è riuscita comunque, e poi ad ogni traguardo raggiunto non bisogna dimenticare che occorre continuare a lottare.
martedì 10 dicembre 2013
CIAO
ritorno, dopo un pò di assenza, con i due post "elogio della lentezza" e "omaggio alla meraviglia" ispirati dai luoghi, dalle persone che mi circondano e dall'amore per Chiara.
OMAGGIO ALLA MERAVIGLIA
Che
spettacolo guardare gli occhi dei bambini illuminati della gioia
contagiosa della meraviglia… e che peccato non poterlo riscontrare
con la stessa potenza nei grandi!
La
meraviglia, lo stupore, sono la porta verso il mistero del mondo,
sono i modi attraverso i quali si impara, si conosce la realtà. I
piccoli si meravigliano perché non danno il mondo per scontato. E’
una maniera di sapere che viene da dentro, non arriva dal
bombardamento di stimoli esterni. Ma occorre coltivare questo dono
divino dell’infanzia, poiché è l’unico, a mio parere, che da
adulti ci aiuterà a riconoscere la bellezza in tutte le sue forme!
Sul tema Catherine L’Ecuyer (canadese residente in Spagna e mamma
di quattro figli) ha scritto un libro appena tradotto in Italia:
“Educare allo stupore”. L’autrice, senza mezzi termini,
sostiene che l’eccessiva stimolazione, il sottoporre i figli ad un
bombardamento sensoriale smisurato, senza rispettare i tempi del
bambino, annulla la propensione allo stupore, all’immaginazione,
generando bambini svogliati e passivi, che si annoiano, apatici (di
un’apatia irrequieta perché assuefatti dal rumore di fondo dei
loro impegni). Bambini la cui principale motivazione proviene
esclusivamente da sollecitazioni esterne, non possono che diventare
iperattivi, nervosi, difficili da gestire, che cercano di richiamare
l’attenzione degli adulti violando le regole. Questo crea una serie
di conseguenze (se non veri e propri disturbi): difficoltà a
stabilire legami, riconoscere l’autorità, gestire la propria sfera
emotiva, con tendenze a volte violente. Quello che conta in verità è
la qualità della relazione, a cominciare dalla famiglia, che fa la
differenza nello sviluppo della personalità di un bambino e non solo
una stimolazione sensoriale eccessiva, nella speranza di costruire
cervelli migliori. Da qui il consiglio di rispettare i loro ritmi, i
loro limiti, il silenzio, l’innocenza. Privare il bambino dello
stupore, equivale a circondarlo di poca bellezza, a rubargli
l’infanzia.
Affinchè
anche gli adulti non divengano ciechi davanti alla bellezza del mondo
dovrebbero (come anche Gesù sottolinea nel Vangelo) riappropriarsi
di quel dono che ci apre la porta verso l’inesplicabile e che solo
lo sguardo del bambino sa attraversare, di quel desiderio di
conoscenza infinito, che è la capacità di meravigliarsi. Il mistero
non è ciò che non si comprende, ma ciò che non sapremo mai:
l’incommensurabile. I bambini tendono istintivamente ad accogliere
il mistero della vita, perché è ciò che mantiene vivo il loro
desiderio di conoscere e ne restano incantati perché scorgono
un’infinita opportunità di sapere. Einstein ha detto: ”La mente
intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un servo fedele.
Abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il
dono”. Ed è vero: instillando presto e contro natura atteggiamenti
ragionevoli e comportamenti adulti nel bambino, si uccidono in lui la
fantasia, la creatività, la capacità di stupirsi e di
meravigliarsi. I bambini, ed anche gli adulti, devono sentire il
bisogno di abbandonarsi alla meraviglia, imparare ad alzare lo
sguardo verso il cielo, guardare una lumaca trascinarsi, un fiore
crescere, una goccia di rugiada scivolare. Se educare allo stupore
significa educare il bambino alla bellezza e al mistero che lo
circonda, nell’adulto è necessario invece mantenere tale sguardo
per aprirsi al senso della vita.
ELOGIO DELLA LENTEZZA
Ho
sempre creduto ai benefici del “vivere” lentamente, considerando
soprattutto i ritmi frenetici a cui la quotidianità contemporanea ci
espone, costringendoci ad una vita vertiginosa che, a mio parere, ha
contribuito a creare una società sempre più nevrotica e ansiogena,
non posso che essere un sostenitore della lentezza, pur rendendomi
conto che dovremmo fare i conti con i sensi di colpa per il tempo che
apparentemente perderemmo…
Mi
è piaciuto il consiglio dello scrittore Luis Sepùlveda,( autore,
oltre che della gabbianella, il gatto e il topo, di una nuova fiaba
dedicata ad una lumaca che ribellandosi alla sua indole lenta,
scoprirà da sola che la velocità non aiuta a vivere meglio):
“Entrate in letargo, sarà produttivo!”.
Al
di là delle mode o di forme di protesta come Slowfood (che peraltro
condivido: mangiare solo frutta di stagione, recuperare la tradizione
in agricoltura senza interventi genetici, ecc.), e partendo dalla
considerazione obiettiva che alcuni luoghi, come quello in cui vivo
e in generale credo gran parte del Sud del mondo, sono certamente più
“compatibili” con il vivere la lentezza, penso che la grande
assente della nostra vita sia proprio questa dimensione essenziale
dell’esistenza, che ci dà memoria: la lentezza. Ne abbiamo paura,
vogliamo andare avanti,avanti e avanti, parliamo senza pensare, non
ci fermiamo a parlare, divoriamo ogni esperienza con una rapacità
bulimica, solo apparentemente multimediale, ma vuota, non riusciamo a
fissare veramente nulla, neppure i ricordi. E questo è un peccato
perché ci perdiamo le cose più importanti della vita, la velocità
deforma lo sguardo e ci rende sempre più insoddisfatti. Ad esempio,
dicono che Internet sia una forma di comunicazione velocissima, ma
per me è un modo di rapportarsi, la comunicazione è altro. Così
perdiamo la possibilità di fermarci e chiederci: è questa la
direzione che volevo? Come i versi del poeta Vladimir Majakovskij:
“Fermati, come il cavallo che intuisce l’abisso negli zoccoli,
sii saggio, fermati”. Solo in tal modo ci si può ritrovare, se
stessi, il rapporto con gli altri, autenticamente. Fatelo a casa,
fuori: ascoltatevi, fermatevi e ridete, sarà produttivo e consentirà
di recuperare un senso morbido del tempo, oltre che il valore delle
cose.
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