Viaggio nel Pollino:
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mercoledì 17 marzo 2010

C'era una volta la città dei matti: la lotta per la libertà di Franco Basaglia


Qualche settimana fa sono stato stupito dalla televisione vedendo la fiction “C'era una volta la città dei matti”. Infatti considerato che di norma, operando esclusivamente secondo la logica dell’audience, propone solo squallidi format che fanno leva sulle miserie della nostra società e su illusori modelli che sembrerebbero essere in grado di superarle, ed essendo, tra l’altro, diventata strumento di regime, mi ha colpito che, con questa ed altre mini serie, la Rai si sia dedicata a temi di profonda valenza storico-sociale e di grande spessore etico-esistenziale.

La fiction “C'era una volta la città dei matti” è dedicata alla rivoluzione condotta da Franco Basaglia, padre della legge che nel 1978 portò alla chiusura dei manicomi e che cambiò il modo di intendere e curare le malattie mentali. Una svolta importante che fece dei “matti”, ritenuti irrecuperabili pericolosi da internare e sottrarre alla vista della società “normale”, dei pazienti, dei malati cui restituire dignità, identità, anima e quelle libertà individuali che erano state loro tolte e negate iniquamente. La cosa più importante era il profilarsi di un possibile reinserimento, ritorno, alla vita di relazione, seppur lungo, faticoso e non privo di contraddizioni sociali. Il contesto era quello dell’Italia degli anni 70, che dopo il faticoso dopoguerra, era travolta ed irretita dal boom economico e che non si poteva permettere rallentamenti nella corsa verso la crescita, dove i malati mentali oltre ad essere considerati degli inutili pesi, inadatti, inadeguati, risultavano essere improduttivi, non conformati alle leggi capitalistiche. Pertanto venivano reclusi in un mondo fatto di degrado, abbandono e solitudine, dove le uniche cure erano sedativi, “bagni calmanti”, gabbie, elettroshock, letti con le cinghie che unitamente alla detenzione forzata contribuivano a perpetuare lo stigma della loro alienazione. Tutto ciò nell’indifferenza, non curanza dei familiari e del mondo esterno, sociale e psichiatrico. Nulla si faceva per ascoltarli, dargli voce e quindi guarirli. Inoltre i manicomi fungevano da contenitori indifferenziali, in cui venivano raccolte ed ammassate forzatamente le più svariate tipologie di interdetti dalla società, dagli schizofrenici, ai depressi, dagli autistici agli epilettici, persino gli eccentrici, fino ai reduci della guerra che continuavano a vivere le inguaribili ferite dell’assurda, insensata, inaudita violenza nazi-fascista. Dinanzi a tanta sofferenza cominciò la lotta di Basaglia contro i “lager della mente”, al fine di riscattare e restituire dignità ai suoi pazienti, riconoscendoli innanzitutto come persone titolari di diritti civili. Ma non basta avanzare un diritto per affermarlo e così cominciò la battaglia, che portò alla legge 180/78, contro gli interessi forti della società italiana di psichiatria, l’opposizione dell’ambiente politico soprattutto cattolico e dei sindacati, l’insensibilità delle famiglie e della società civile. Fu ed è difficile affermare idee basate sull’amore per la diversità, ma le sbarre divelte del manicomio triestino di San Giovanni smisero di essere un simbolo e divennero una rivoluzione legale basata su un concetto che ancora oggi è scritto sul muro esterno del San Giovanni, un tempo barriera inviolabile: “la libertà è terapeutica”. Ma anche oggi è fin troppo evidente che dobbiamo ancora imparare ad aiutare attraverso l’amore chi ne ha bisogno, nella consapevolezza che il contatto con la diversità non può che arricchire tutti e magari rendere migliori coloro che si considerano “sani” e “normali” e che, in realtà, troppo spesso sono essi stessi ad essere inabili, perché non sanno dare e non sanno prendere.

3 commenti:

  1. Sn daccordo cn te,queste fiction hanno1grande valore educativo,sociale e morale,perkè pongono all'attenzione comune,realtà drammatike,troppo spesso dimenticate o sottaciute,sulle quali nn possiamo mostrare indifferenza.Nonostante i limiti della rivoluzione post-manicomiale,oltre alle problematike attuali(lo Stato ke chiude o sposta senza preavviso i centri diurni o residenziali psichiatrici e limita i fondi,dimezzando di fatto il personale specializzato)di cui tutti dobbiamo farci carico,resta cmq fortissimoil senso di ciò ke è stato fatto:restituire dignità a ki nn sà difendersi,dare voce a ki nn ce l'ha,nn abbandonare ki si trova in condizione di debolezza o disagio,ma soprattutto,nn aver paura del"diverso"!Si,perkè ciò ke risulta essere+difficoltoso, è abbattere i pregiudizi,quelle barriere virtuali ke impongono distanze tra noi e gli altri e limitano1esistenza..ke dovrebbe essere invece la felice esplicazione dei valori+alti dell'uomo!Forse la durezza nei confronti dei"matti",lo sforzo di allontanarli dalla vita visibile,mediante la reclusione,eprime in verità,1sottile,più o meno inconscio,disagio dei"normali"..E' cm se quest'ultimi,scorgessero nei folli,l'incarnazione disinibita di desiseri pulsanti,ma tenuti repressi nella loro stessa coscienza di"sani";cm se ciò ke li intimorisse,nei malati mentali,fosse quella libertà-potenzialità creativa,allo stesso tempo paventata e agognata,ma tenuta a freno dalla museruola della società"civilizzata".Ne guadagneremmo sicuramente tutti,se provassimo ad aprirci,ad ascoltare,a commuoverci,ad amare,a condividere la sofferenza..

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  2. "Ci voleva un pazzo per liberare i pazzi"!..E in effetti,Basaglia,cm ogni buon rivoluzionario,nn era certo ben visto,sia all'interno del suo ambiente,quello ospedaliero,che fuori,dalla maggior parte della società civile,per l'approccio"diverso"-"anomalo",fuori dalla norma,di curare le malattie mentali.Basaglia,infatti,mise al centro del suo lavoro,il confine indefinibile tra normalità e follia.Uno dei motti dell'anti-psichiatria triestina,era appunto:"da vicino nessuno è normale!".Oltre al livello patologico,c'è un filo davvero sottile che ci separa dalla pazzia.Quando non sei omologato,spesso ti considerano matto(perchè l'omologazione è ritenuta un sintomo di normalità!).Chi nn si conforma,anche semplicemente per coraggio,libertà o sentimento,viene visto come uno"strano"..Ma oltre quale limite un uomo può essere definito diverso?Nn siamo forse tutti un pò matti,sofferenti,"malati"?Mi viene in mente ciò che F.Nietzsche diceva in"Genealogia della morale":L'uomo è l'animale più malato..più di tutti gli animali presi insieme,perchè ha osato,rinnovato,sfidato,provocato il destino.L'uomo,questo grande sperimentatore di se stesso,insoddisfatto,insaziato,che lotta contro la natura,le divinità,per l'ultima supremazia,questo essere,sempre e ancora nn domato,eternamente futuribile,che nn trova pace difronte all'impeto della sua stessa forza,(tanto che il suo futuro gli fruga inesorabilmente nella carne di ogni presente,cm uno sperone)..cm nn dovrebbe essere,un animale così coraggioso e ricco,anche il più esposto al pericolo,il più a lungo e profondamente malato tra tutti gli animali malati?[p.s.nn è un caso che lo stesso Nietzsche,morì proprio nell'ospedale psichiatrico dove era rinchiuso].E allora?A ben vedere..vale la pena sguinzagliare la propria follia,varcare il campo dell'indefinibile e ubriacarsi di quella gioiosa quanto misteriosa,pazza,danza della bellezza dell'esistere!

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  3. ........ è vero, la paura del malato mentale può nascere dal fatto che specchiandoci nel suo animo vediamo riflesse nostre peculiarità che mentre in lui sono esaltate noi cerchiamo di reprimere. Tuttavia, se abbiamo la capacità di superare questa paura aprendo il nostro cuore alla loro "diversità", è proprio questo specchiarsi che rende magico il rapporto con loro, ci rende migliori e più capaci di godere, come dici tu, della "folle bellezza dell'esistere"

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