Viaggio nel Pollino:
la carovana è la mia mente, la strada sono le cose che amo, la meta è la mia terra e il viaggio è la mia vita

lunedì 5 settembre 2011

IL GRANDE CAPO

Siamo sul Pollinello e l’aria rarefatta e fresca ci accarezza il viso con la leggerezza di un battito d’ali. Nonostante sia estate, l’afa è rimasta a valle, quasi a segnare il confine tra due scenari, due mondi completamente diversi. Ci arrampichiamo sui costoni per vedere da vicino i pini loricati, ma quanto più ci avviciniamo alla meta, tanto più la vegetazione si fa rada, così come i meravigliosi faggi che le facevano da cornice.

Ed è allora, nel momento in cui non vi sono più alberi a nascondere alla vista l’incredibile panorama dall’alto, che, quasi d’impatto, si apre sorprendentemente dinnanzi a noi un’immensità così dirompente che siamo costretti a fermarci, a sospendere per qualche attimo il nostro cammino. Da quassù tutto appare così infinitamente piccolo, noi ci sentiamo così piccoli ed insignificanti, come gettati nella nostra datità e legati a quel momento, a quel luogo, alla limitatezza del nostro corpo.
Come nella sindrome di Stendhal, il nostro umano sguardo non è in grado di abbracciare tutta la bellezza in cui s’imbatte, non può sostenere la vista di una simile ineffabile grandezza e, inevitabilmente, sopravviene quel senso di vertigine e sgomento, quello stesso che pone l’uomo davanti a se stesso, al mistero della vita e della morte, all’inesplicabile esistenza di Dio e di una natura così viva e vera. Quasi che occorresse sentire quell’angosciante sensazione di “perdita”, di “mancanza”, per poter avvicinarsi al senso delle cose e restituir loro un nuovo, più autentico valore.
Però, riconoscere un limite, come scriveva Martin Heidegger, è anche superarlo; per cui dobbiamo proseguire, anche perché ormai i pini loricati si ergono davanti a noi, in tutta la loro eleganza, nella loro immobilità-dinamicità modellata dal vento e dagli agenti atmosferici, e ci attirano con la loro fortezza, dalla quale traiamo anche la nostra. Ancora il Patriarca, o “padre-capo”, dal greco antico, non si vede.
Occorre andare al di là della dolina, che sembra quasi una steppa. Lo sguardo avido può per il momento riposare e cedere alla sensazione di profonda serenità interiore di cui, in quest’orizzonte più circoscritto e rassicurante, la montagna e i pini millenari ci fanno dono.
A questo punto, ecco scorgere il superbo e potente gigante che vive lì, sfidando da secoli ogni sorta di intemperia, arroccato silente ed enigmatico, al punto da essere un tutt’uno con la roccia sottostante. La lucentezza del tronco tortuoso e la possenza dei rami contorti ci dà come l’impressione di trovarci al cospetto di un anziano saggio, che pare celare l’inesplicabile segreto dell’essere. Ci sediamo sulle possenti radici, per riposarci e godere della tranquillità che ci trasmette la sua fisicità dirompente, allo stesso modo in cui un bambino si abbandonerebbe sulle gambe del nonno ed incantato ed ammirato lo guarderebbe attento per ascoltare ciò che più di caro ha da insegnargli e trasmettergli. Così, sazi di tutti i sensi, avvolti dall’eterea atmosfera, rispettosamente ci rincamminiamo verso la valle, nella convinzione di rivederci presto.

4 commenti:

  1. Quant'è vario il paesaggio e il panorama del Pollino! Ma sempre emozioni diverse ed intense suscita! Il Dolce Dorme ci aspetta ancora...

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  2. è vero: ogni volta emozioni diverse perchè tanta è la sua bellezza che anche quando si torna in un luogo già visitato la gioia che suscita è sempre più intensa.
    Il Dolcedorme è lì da secoli, può attenderci un altro poco, ma non facciamolo aspettare troppo.

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  3. Mi hai fatto venire in mente, bei ricordi di qualche anno fà. Il Patriarca riesce sempre ad emozionare e sempre riesce ad accoglierti come nessun'altro. Grazie per il commento sul Gran Paradiso....quest'anno me ne sono successe davvero tante!!!
    Un saluto
    Pellegrinodelpollino

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  4. Caro Pellegrino del Pollino, grazie a te per le emozioni che ci regali quando ci racconti "le tante" che ti accadono.

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